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Valeria Fiocco

Psicoterapeuta riconosciuto a livello federale

Mi chiamo Valeria Fiocco, ho 38 anni e sono una Psicologa psicoterapeuta. Da sempre mi appassiona l’unicità delle persone e la possibilità di accompagnarle nei loro percorsi evolutivi, nei momenti di cambiamento, crisi o riscoperta di sé.

Nel corso degli anni ho lavorato con bambini, adolescenti e adulti, sostenendoli nei passaggi delicati della vita. Mi sono occupata anche della valutazione psicologica in contesti specifici come lo sport e il mondo televisivo, dove ho potuto approfondire le risorse individuali e gli aspetti più vulnerabili che si attivano in situazioni ad alta esposizione e intensità emotiva.

Mi occupo di diagnosi psicologiche e di percorsi di psicoterapia individuale e di coppia, con uno sguardo attento alla complessità del ciclo di vita e al contesto in cui la persona è inserita. Il mio approccio è integrato, rispettoso e orientato alla consapevolezza, con l’obiettivo di costruire insieme uno spazio sicuro in cui poter comprendere, trasformare e crescere.

 

Questo il mio lavoro: Nel corso della vita può capitare di attraversare momenti difficili, situazioni di crisi o fasi di particolare fatica emotiva. In questi frangenti, può emergere il desiderio o la necessità di rivolgersi a uno psicoterapeuta, sia per affrontare un disagio specifico o un sintomo persistente, sia per approfondire il senso più profondo del proprio malessere, all’interno delle relazioni e dei contesti di vita in cui si manifesta. Altre volte, invece, si sceglie di iniziare un percorso psicoterapeutico non perché “qualcosa non va”, ma per prendersi cura di sé in modo più consapevole, migliorando la qualità della propria esistenza e il proprio benessere psicologico.
Può trattarsi, ad esempio, del desiderio di affrontare meglio un ruolo importante, come quello di genitore, oppure di ritrovare equilibrio e autenticità in una relazione di coppia, o ancora di imparare ad ascoltarsi di più, a fare scelte più in sintonia con i propri bisogni e valori.

Questo il mio lavoro:

Numerosi studi scientifici confermano che una psicoterapia ben condotta può portare a benefici significativi, tra cui:

  • un aumento del benessere generale e della salute mentale e fisica,
  • un miglioramento della qualità delle relazioni interpersonali,
  • una maggiore soddisfazione nella vita professionale,
  • una più profonda comprensione di sé e delle proprie scelte.

Il percorso terapeutico ha come scopo quello di favorire un cambiamento reale e duraturo: non solo la riduzione del sintomo, ma la possibilità di conoscere meglio sé stessi, riconoscere gli schemi appresi nel tempo e trasformare i copioni che hanno generato sofferenza. È un processo non sempre facile, ma profondamente trasformativo, che permette di rileggere la propria storia con occhi nuovi e di riscrivere, passo dopo passo, il proprio modo di stare al mondo.

 

La psicoterapia è, prima di tutto, una relazione: fondata sulla fiducia, sulla collaborazione e sull’ascolto. Lo psicoterapeuta non è un giudice, ma una guida, un compagno di viaggio che cammina accanto alla persona, sostenendola nell’esplorazione delle proprie emozioni, difficoltà e risorse.

Ogni percorso è unico, costruito su misura insieme al paziente, ma generalmente attraversa tre fasi principali:

  1. Fase iniziale – Incontro e conoscenza. Si esplora la storia personale e si individuano i principali temi ricorrenti, per comprendere come si è arrivati al punto attuale.
  2. Fase centrale – Lavoro terapeutico. Si affrontano i sintomi e le difficoltà emerse, sviluppando nuove strategie di fronteggiamento e di cura di sé.
  3. Fase conclusiva – Consolidamento. Gli incontri diventano meno frequenti e sono orientati a rafforzare l’autonomia, a monitorare il benessere raggiunto e a preparare un piano di gestione per eventuali momenti critici futuri.

Credo profondamente che la relazione sia lo spazio più potente per la trasformazione. Una relazione autentica, sicura, sintonizzata: è lì che nasce la possibilità di sentirsi visti, accolti, e di riscrivere la propria storia interiore. Per questo, nella mia pratica clinica, tengo sempre al centro la relazione con la persona che ho davanti. La curo, la custodisco, la ascolto in ogni suo frammento.

Mi avvicino al mondo interno di chi incontro con curiosità e rispetto, senza giudizio, cercando di comprendere la funzione profonda di ogni comportamento, anche quello che può sembrare più disfunzionale o incomprensibile. Perché ogni reazione, ogni forma di sofferenza, ha radici che meritano di essere ascoltate e onorate.

Il Corpo come bussola

Il corpo, per me, è una bussola preziosa. È casa, è mezzo, è linguaggio.
Prima di diventare terapeuta sono stata per molti anni un’atleta. Il rigore dell’allenamento, la disciplina, ma anche la connessione profonda con il corpo mi hanno insegnato a rispettarne i segnali, a riconoscerne i limiti, a fidarmi della sua saggezza silenziosa.

Oggi porto tutto questo nella stanza di terapia: integro il lavoro corporeo come strumento fondamentale per riconnettersi a sé stessi, per imparare a sentire prima ancora che capire. Il corpo custodisce storie, memorie, emozioni. E talvolta, è proprio da lì che possiamo cominciare a guarire.

Montagna, natura
e ritorno a sé

La natura è per me un luogo interiore. Amo la montagna, il silenzio dei sentieri, lo spazio che si apre quando il rumore si ritira. Camminare immersa nel verde, respirare lentamente l’aria sottile, sentire i piedi sulla terra: sono gesti semplici che mi riportano all’essenziale.

Credo che la connessione con la natura ci ricordi chi siamo, al di là delle maschere e delle accelerazioni quotidiane. E spesso, in terapia, accompagno le persone a riconoscere il loro paesaggio interno, come se fosse un cammino: con salite, discese, radure, tempeste e cieli limpidi.

Il surf come metafora della terapia

Sono anche una surfista (non professionista!). Il surf è parte della mia vita, e senza che io lo cercassi, è diventato una metafora naturale del mio modo di fare terapia.
L’oceano è imprevedibile. Richiede rispetto, ascolto, presenza. Così è anche la vita interiore. Così è la relazione terapeutica.

Nel surf – come in terapia – si impara:

  • Ad aspettare, con fiducia. Non si forza l’onda, non si forza il cambiamento. Si osserva, si ascolta, si riconosce il momento giusto per agire.
  • A convivere con l’imprevedibilità. Ogni seduta, come ogni onda, è diversa. La flessibilità e l’adattamento sono strumenti preziosi.
  • A sentire con il corpo. Il surf si fa con tutto il corpo, non solo con la testa. Così anche il cambiamento: passa per il sentire prima che per il capire.
  • A riconoscere i propri limiti e proteggerli. Saper tornare a riva, saper dire “adesso no”, è un atto di forza e cura. Come in terapia, dove si impara a mettere confini e a proteggere sé stessi.
  • A cadere senza sentirsi sbagliati. Le cadute non sono fallimenti: sono parte del percorso, occasione per imparare e rialzarsi con più consapevolezza.
  • A trovare un ritmo, un flusso. Il surf è fatto di alternanza: attesa e azione, quiete e intensità. Così anche il lavoro terapeutico, che ha bisogno di pause, di elaborazione, di tempo.
  • A vivere un senso di padronanza. Non si controlla l’onda, ma si impara a starci dentro. Non si eliminano le emozioni, ma si può imparare a cavalcarle, ad attraversarle, a restare in piedi nel mezzo della corrente.

Sguardo aperto,
mente curiosa

Mi piace il bello delle cose: che sia arte, moda, architettura o un gesto semplice ma autentico, sono attratta da ciò che comunica profondità, cura, armonia. Credo che la bellezza, in tutte le sue forme, abbia un potere trasformativo: ci parla senza parole, ci nutre, ci ricorda che anche nei momenti difficili possiamo trovare forme di luce.

Mi piace viaggiare. È qualcosa che mi ha sempre abitata: il desiderio di conoscere, di scoprire culture, modi di pensare, sensibilità diverse. Entrare nella mente di chi parla un’altra lingua dell’anima è una delle esperienze che più mi affascinano.

Viaggiare mi ha insegnato a sospendere il giudizio, ad accogliere ciò che non conosco con uno sguardo nuovo. Lo stesso spirito lo porto nel mio lavoro clinico: ogni paziente è un viaggio, un mondo, una storia da attraversare con rispetto e presenza.

Il mio approccio

Il mio approccio è integrato, con una forte base relazionale e una sensibilità per il lavoro con il corpo, l’emozione e il significato.
Lavoro per costruire uno spazio sicuro, dove la persona possa portare sé stessa, interamente. Credo nella possibilità di cambiamento, nel diritto di ognuno a sentirsi visto, e nel potere del prendersi cura.

🌿 Schema Therapy – Il cuore del mio lavoro

La Schema Therapy è il mio approccio principale. Ideata dallo psicoterapeuta Jeffrey Young, è stata inizialmente pensata per pazienti con difficoltà relazionali croniche e radicate, che non avevano tratto beneficio dalla terapia cognitivo comportamentale (CBT) standard. Rispetto a quest’ultima, la Schema Therapy pone maggiore enfasi sulle emozioni, sui vissuti infantili e sul ruolo trasformativo della relazione terapeutica. Negli ultimi anni, si è rivelata un modello efficace per una vasta gamma di problematiche psicologiche.

Perché si chiama Schema Therapy

La Schema Therapy si focalizza sugli “schemi”: emozioni, pensieri, sensazioni corporee e memorie dolorose che si formano quando, nell’infanzia, non vengono soddisfatti bisogni universali come amore, protezione, autonomia, spontaneità, gioco e contenimento.
Quando questi schemi vengono riattivati nella vita adulta, possono causare intensa sofferenza e innescare stili di coping disfunzionali (come la resa, l’evitamento o l’ipercompensazione) che contribuiscono a mantenere o aggravare il problema.

Come funziona la Schema Therapy

La Schema Therapy è il mio approccio principale. Ideata dallo psicoterapeuta Jeffrey Young, è stata inizialmente pensata per pazienti con difficoltà relazionali croniche e radicate, che non avevano tratto beneficio dalla terapia cognitivo comportamentale (CBT) standard. Rispetto a quest’ultima, la Schema Therapy pone maggiore enfasi sulle emozioni, sui vissuti infantili e sul ruolo trasformativo della relazione terapeutica. Negli ultimi anni, si è rivelata un modello efficace per una vasta gamma di problematiche psicologiche.

Il terapeuta si propone come figura calda, stabile e accogliente, in grado di soddisfare – nei limiti etici della relazione terapeutica – alcuni bisogni primari di sicurezza, accettazione e autonomia. Questo è noto come Limited Reparenting.

Il confronto con le strategie disfunzionali viene proposto con empatia e chiarezza (confronto empatico), allo scopo di aiutare il paziente a riconoscere il proprio funzionamento e a sviluppare alternative più sane.

Durante il percorso, il terapeuta lavora con le diverse parti interne della persona:

  • la parte vulnerabile (bambino vulnerabile)
  • le strategie di coping
  • la parte genitoriale interiorizzata (critica e svalutante)
  • le parti sane (bambino felice, adulto sano)

L’obiettivo è rafforzare l’adulto sano, capace di accudire la parte vulnerabile, contrastare le autocritiche, modificare i comportamenti disfunzionali e costruire relazioni più sane e coerenti con i propri bisogni.

Tecniche

La Schema Therapy utilizza tecniche esperienziali, emotive, cognitive e comportamentali. Tra le principali:

  • immaginazione guidata
  • tecnica delle due sedie
  • identificazione e modifica delle credenze disfunzionali
  • analisi dei pro e contro
  • interventi relazionali correttivi

Struttura della terapia

La Schema Therapy si articola in tre fasi:

  1. Assessment e psicoeducazione – si identificano schemi e mode, si esplorano le loro origini e si costruisce un modello condiviso.
  2. Trattamento e cambiamento – si utilizzano le tecniche esperienziali, cognitive, comportamentali e relazionali per modificare gli schemi e rafforzare l’adulto sano.
  3. Autonomia – il paziente assume progressivamente maggiori responsabilità, costruisce relazioni più sane e si avvia verso la conclusione del percorso.

Acceptance and Commitment Therapy (ACT)

La Acceptance and Commitment Therapy (ACT) è un’altra forma di psicoterapia cognitivo-comportamentale che utilizzo e ha come obiettivo lo sviluppo della capacità di agire in linea con i propri valori e obiettivi, anche in presenza di emozioni o pensieri difficili.
Ideata da Steven C. Hayes, l’ACT integra strategie di accettazione e mindfulness con tecniche di impegno nell’azione e modificazione del comportamento, al fine di promuovere flessibilità psicologica.

Per flessibilità psicologica si intende la capacità di entrare pienamente in contatto con l’esperienza del momento presente, e – in base a ciò che la situazione consente – scegliere se cambiare o mantenere un comportamento coerente con ciò che per la persona è importante.

L’ACT aiuta quindi a vivere in modo più autentico e consapevole, promuovendo un cambiamento profondo e sostenibile nel tempo.
L’obiettivo non è eliminare la sofferenza, ma permettere alla persona di agire efficacemente, costruendo una vita ricca di significato anche quando il dolore è presente.

    I concetti chiave dell’ACT

    La Acceptance and Commitment Therapy si basa sulla Relational Frame Theory (RFT), un modello teorico sul funzionamento della mente umana, secondo il quale molte strategie che utilizziamo per risolvere problemi emotivi finiscono, paradossalmente, per amplificare la sofferenza.

    I principi centrali dell’ACT includono:

    • La sofferenza psicologica è un aspetto normale e universale, con una funzione adattiva.
    • Non è possibile liberarsi volontariamente di tutte le emozioni dolorose, ma si può imparare a non alimentarle.
    • Dolore e sofferenza non sono la stessa cosa: il primo è inevitabile, la seconda è spesso una reazione alla lotta contro il dolore stesso.
    • È possibile iniziare da subito a vivere una vita più piena, fondata sui propri valori, rimanendo in contatto con il presente.
    • L’ACT invita a uscire dalla mente e rientrare nella propria vita, attraverso un lavoro esperienziale profondo.

      Il razionale dell’ACT

      Il lavoro terapeutico si fonda su due pilastri fondamentali:

      • Consapevolezza e contatto con il momento presente (mindfulness): una modalità di osservazione dell’esperienza che permette di accogliere il dolore senza esserne travolti, sviluppata sia attraverso pratiche meditative che con esercizi clinici fondati sulla ricerca scientifica.
      • Impegno e azione basata sui valori: quando la sofferenza prende il sopravvento, tendiamo a rimandare la vita. L’ACT aiuta a riconnettersi a ciò che conta davvero, agendo anche in presenza del dolore.

      Coltivare accettazione e impegno, se sperimentati nel tempo, favorisce la flessibilità psicologica e un maggiore benessere emotivo.
      La terapia è di tipo esperienziale: il paziente è coinvolto attivamente nella pratica di esercizi, esplorazioni simboliche e “esperimenti” da applicare tra le sedute. Il cambiamento nasce dall’esperienza diretta, non solo dalla riflessione verbale.

      Tecniche dalla Dialectical Behavior Therapy (DBT)

      Integro nella mia pratica anche tecniche tratte dalla Terapia Dialettico Comportamentale (Dialectical Behavior Therapy, DBT), una psicoterapia di comprovata efficacia per pazienti con disregolazione emotiva, impulsività, comportamenti autolesivi o difficoltà relazionali.

      Tra gli strumenti utilizzati:

      • Abilità di mindfulness, per imparare a vivere in modo consapevole il presente.
      • Abilità di regolazione emotiva, per identificare, comprendere e modulare le emozioni.
      • Abilità di tolleranza della sofferenza, per ridurre comportamenti dannosi e affrontare momenti critici.
      • Abilità di efficacia interpersonale, per comunicare e relazionarsi in modo più funzionale.

      Queste strategie si rivelano particolarmente efficaci nei momenti di crisi, aiutando a sviluppare strumenti concreti per affrontare la sofferenza emotiva e costruire una vita più stabile e coerente.

      “Essere ascoltati è così vicino all’essere amati, che per la maggior parte delle persone sono la stessa cosa.” – David Augsburger.

      Una citazione per chiudere

      Mi piace chiudere con una delle frasi che tengo vicine, soprattutto quando il cambiamento sembra impossibile:

      Valeria Fiocco: David Augsburger

      “Essere ascoltati è così vicino all’essere amati, che per la maggior parte delle persone sono la stessa cosa”.

      David Augsburger

      “Per poter evolvere, ho bisogno di sentirmi visto e contenuto da qualcuno che sappia restare. Non posso crescere dentro uno sguardo che si spezza”.

      Sono pronta a conoscerti con enorme curiosità.

      DISCLAIMER
      Le informazioni contenute in questo articolo non sostituiscono una valutazione psicologica o psicoterapeutica individuale. In caso di sintomi importanti o dubbi sulla propria salute mentale, è sempre opportuno rivolgersi direttamente a uno specialista. Questo spazio non sostituisce cure mediche, non fornisce indicazioni su farmaci né diagnosi.